Intervista del quotidiano comunista “Il Manifesto” sulle nuove vie della seta, a Zeno D’Agostino, presidente dell’autorità portuale di Trieste, dopo l’accordo con Berlino
L’estratto dell’intervista, firmato Simone Benazzo:
A fine settembre il Porto di Trieste, sempre più epicentro di tensioni geopolitiche, è stato scosso da una novità decisiva: la compagnia amburghese Hamburger Hafen und Logistik (Hhla) ha acquisito la maggioranza della Piattaforma logistica di Trieste (Plt).
Una mossa significativa: il memorandum siglato tra Italia e Cina nel 2018 prevedeva che fosse la cinese CCCC a giocare un ruolo centrale nello sviluppo del porto giuliano. Con questa mossa i tedeschi hanno scalzato i cinesi, aprendo alla possibilità di una strategia inter-portuale elaborata a livello Ue. Abbiamo parlato con Zeno D’Agostino, presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale dal 2015, delle conseguenze di questo accordo commerciale.
Si pensava che arrivasse la Cina, è arrivata la Germania. Perché?
I tedeschi, come altri, devono fronteggiare la realtà: se da noi il cambiamento climatico sta provocando l’acqua alta, da loro provoca l’esatto opposto. Porti come Amburgo e Rotterdam sono porti fluviali. Il primo è sull’Elba, a 100 km dal mare; il secondo è alla foce del Reno, ma vive della capacità di inoltro delle merci nell’hinterland belga, olandese e tedesco attraverso le vie d’acqua interne. Vie che, soprattutto durante i mesi estivi, soffrono dell’abbassamento del livello dell’acqua. E sarà sempre peggio. Vedo questa operazione quasi come una scelta obbligata: prima o poi chi sta al Nord dovrà iniziare a venire a Sud. Mi sembra che la necessità sia più dei tedeschi che degli italiani, l’opposto della lettura che siamo soliti dare.
La Germania si sta preparando per fronteggiare le conseguenze del cambiamento climatico. E l’Italia?
In Italia, a parte in qualche piccola élite, abbiamo un dibattito sulle tematiche portuali che è di livello infimo. Ci preoccupiamo solo del passaggio a Nord delle navi, che andranno a togliere traffico alla relazione Asia-Europa via Suez, quando la realtà è che le navi che passeranno da Nord arriveranno su porti difficilmente raggiungibili da qui a 15-20 anni o incapaci di inoltrare le merci via canale. Questa è la realtà e i tedeschi lo sanno.
Lei ha parlato di “terza via europea”. Questa manovra è il preludio al varo di una strategia portuale coordinata a livello Ue?
Con “terza via” intendo che abbiamo due blocchi – uno americano e uno cinese – ed entrambi ci dicono come dobbiamo gestire le cose. Io dico: troviamo una terza via europea. Già anni fa, discutendo con un altro operatore tedesco che aveva deciso di investire a Trieste, si parlava della necessità di creare un’alleanza italo-tedesca – non voglio usare la parola “asse” – su questi temi, perché effettivamente abbiamo le condizioni per poterla immaginare. Adesso, in questa relazione, per quanto detto sopra sul cambiamento climatico, l’Italia gode di una posizione che i tedeschi non hanno più.
Che ruolo deve giocare lo Stato in questi processi?
Usa e Cina hanno capito che è lo Stato a determinare la sorte della competizione economica capitalistica del globo. L’Europa ancora non l’ha capito, continua a bacchettare i soggetti pubblici che fanno economia. L’operazione di Hhla è da insegnamento. Parliamo di una società che è al 68% in mano pubblica, ma gestita in maniera manageriale. Io penso che il pubblico sia importante, ma serve un livello di managerialità, di cultura e di competenze diverso da quello cui siamo abituati. Altrimenti il cittadino ha ragione a non voler dar nulla in mano al pubblico. Continuiamo a tagliare il pubblico – sia come organico che come risorse – quando il mondo sta andando nella direzione opposta.
Se sono gli Stati a guidare questi processi, allora esiste una sfumatura geopolitica dell’accordo Hhla-Plt.
Certo, perché se non fossero venuti i tedeschi, sarebbero venuti i cinesi. Ma la Belt and Road Initiative non è la via della seta. La prima è un progetto che nasce a Pechino, è gestito totalmente dai cinesi e fa i loro interessi. Però posizionandosi su un corridoio trasportistico globale che si chiama via delle seta ed esiste da sempre. Noi accettiamo la sfida della via della seta, non entrando nella logica geopolitica degli investimenti cinesi. Riteniamo che ci sia una capacità in loco, ovvero in Europa, di stare su questo corridoio senza dover per forza succubi dei cinesi o degli americani. Questo il messaggio che deve arrivare: l’Europa c’è ed ha competenze e soldi per poter giocare questa partita. L’arrivo di Hhla a Trieste è un microbico esempio di quello che l’Europa può fare se la smettiamo di ragionare in termini nazionalistici.