Trieste, la Scala delle Vacche – così chiamata in quanto usata dagli armenti per raggiungere i pascoli del soprastante altopiano, è delimitata nella sua parte iniziale (incrocio con Strada di Fiume e la Provinciale 11, detto “Sella di Longera”) da una parete di roccia ed attraversa una zona completamente rimboschita dopo i pesanti tagli del secondo dopoguerra (comprensorio dei boschi comunali “Alla Vittoria” e “Alabarda” e di quelli regionali “Venezian” e “Bazzoni”).
Si parte da uno dei punti d’accesso nell’area interessata dal progetto di recupero e valorizzazione percorsi e sentieri storici di collegamento della città con il crinale carsico e lungo l’altopiano. Questo intervento progettato e diretto dai tecnici dell’Area Lavori Pubblici del Comune di Trieste, mira quale sua principale finalità ad una riqualificazione funzionale di alcuni tratti della complessa rete di sentieri, scalinate, vecchie strade forestali, compresa nell’area territoriale fra la Sella di Longera e l’Obelisco di Opicina.
All’incrocio tra le strade principali, si può notare al lato la “Colonna della Fuga in Egitto”, ricollocata il 28 settembre 2008. La Colonna che si trovava coinvolta nel cantiere della Grande viabilità, il 28 giugno 2005 è stata smontata e recuperata per garantirne la conservazione e permetterne il restauro al Giardino del capitano del Civico museo di storia ed arte – Orto lapidario di Trieste. Poi, alla fine dei lavori, è stata ricollocata al suo posto, a pochi metri di distanza, in direzione Sudest. La Colonna si trova lungo la strada di Fiume, nei pressi del numero civico 591, dov’è il bivio che scende ripido verso il villaggio di San Giuseppe della Chiusa e commemora proprio l’apertura nel 1816 di questo importante collegamento viario che, scavalcando il valico di Chiusa, univa la valle di Longera a tutta la Val Rosandra. A ricordarne l’inaugurazione fu eretta la colonna che sostiene una lastra con scolpita la «Fuga in Egitto» e sul fusto l’epigrafe in latino che recita: «Questa colonna, fatta in capo all’angolo della Chiusa, fu eretta dalla comunità di Rizmagne in onore di San Giuseppe, sposo della Beata Maria Vergine e patrono di tutto il Litorale nell’anno del Signore 1816». Sul retro della lastra è scolpito un cherubino, dal volto rotondo, sormontato dalle lettere in rilievo «Ihs», del monogramma cristologico introdotto nel XV secolo da San Bernardino.
L’abitato di San Giuseppe è infatti detto già dai documenti del 300 Ricmanje o Rizmagne e la sua chiesa, inizialmente dedicata a San Giorgio, solo nel 1749 fu intitolata a San Giuseppe, in seguito all’evento miracoloso di una lucerna che, pur priva di olio, ardeva ugualmente davanti all’altare di questo santo.
Torniamo alla Scala delle Vacche, che parte dietro l’unico edificio in zona. “… la sera delli 12 agosto 1843… Alla girata del Klutsch salimmo l’erto sentiero sassoso, e godemmo più libero da quell’altura l’ampio orizzonte. Ci demmo a contemplare allora con nuovo piacere, i fianchi che stringono l’ultimo seno dell’Adriatico, comprimendo le sue acque a lambire la nostra Trieste…” Erano queste le sensazioni che il celebre farmacista e filosofo istriano Bartolomeo Biasoletto – direttore del Civico Orto Botanico, fine naturalista e grande protagonista della Trieste ottocentesca, quando transitava su questa strada, diretto ad erborizzare sul Monte Nevoso. Oggi i panorami, le sansazioni e le strade sono totalmente cambiate, ma il “Klutsch”, oggi Chiusa, rappresenta ancora per una buona parte dei triestini quell’invisibile confine fisico e mentale che, nei due sensi, divide il mondo della città da quello del Carso.
La Chiusa di Cattinara è il valico che mette in comunicazione la valle di Longera con l’alta valle di Zaule. La colonna con capitello all’incrocio, posizionata nel 1816 dagli abitanti di Rizmanje in onore al loro patrono San Giuseppe, ricorda il confine amministrativo tra i comuni censuari di San Giuseppe (Comune di San Dorligo della Valle – Dolina) e Santa Maria Maddalena (Comune di Trieste). A sud della Chiusa la collina esistente fu oggetto nel 1874 di un rimboschimento a robinie, denominato “Bosco Napoli”. La piantagione fu attuata anche per mascherare la polveriera realizzata nel 1864. Il bosco fu intitolato a Luigi Napoli (Trieste 1798-1872) possidente della zona, farmacista, responsabile del Gremio farmaceutico di Trieste, ed è stato completamente trasformato negli ultimi decenni dagli scavi necessari al potenziamento delle reti energetiche e idriche, nonché dall’inizio del Duemila – da quelli autostradali. È interessante ricordare come lo scavo della galleria “Carso” della grande viabilità triestina è andato a intersecare, nel 2004, un piccolo vano laterale di una grotta, poi denominata “Grotta Impossibile”. Si è scoperto successivamente che questa grotta consiste in realtà in una galleria molto articolata che si prolunga verso est per circa 120 metri e ha dimensioni che non superano i 6 metri di larghezza e i 10 metri di altezza. Poi diviene più ampia fino a sboccare in una enorme cavità. Questa ha almeno 120 metri di lunghezza per una sessantina di larghezza con un’altezza che arriva fino a 70 metri. Sono state individuate anche alcune prosecuzioni laterali che sono oggetto di ulteriori esplorazioni condotte da speleologi e ricercatori coordinati dal Catasto Grotte del Friuli Venezia Giulia.
Inizia la salita, la Scala delle Vacche pur essendo molto ripida è di facile percorrenza anche da escursionisti poco esperti. La scalinata è accompagnata con un comodo e sicuro passamano in legno. Purtroppo, ai lati, si può scorgere il segno del degrado, con una bolgia di indumenti laceri abbandonati.
Finita la scalinata, non troppo lunga, si apre un sentiero che porta verso l’altopiano. Il panorama, che apre uno scorcio su Trieste, in ispecie verso Cattinara con il suo imponente ospedale, è insolito e spettacolare.
Proseguendo lungo il comodo sentiero in mezzo al bosco, si può facilmente raggiungere la cava di San Giuseppe. L’area di cava é situata nell’altopiano carsico, le cui caratteristiche climatiche vengono notevolmente influenzate sia dalla Bora sia dagli aerosol marini provenienti dal mare Adriatico. Il ripristino morfologico: al termine delle attività di escavazione, eseguite secondo uno schema di estrazione tradizionale, i fronti della cava si presentano caratterizzati dalla tipica conformazione geometrica “a gradoni” caratterizzata da ridotte zone orizzontali ed estesi fronti sub-verticali, che conferiscono all’insieme un impatto visivo dall’aspetto poco naturale. Partendo da questa conformazione si sta procedendo, in primo luogo, al recupero morfologico dei fronti, impiegando una tecnica ampiamente collaudata che consiste nel rimodellare i fronti della cava, per renderli più naturali visivamente e più compatibili con lo sviluppo della vegetazione. Per ottenere tale risultato, l’ultima volata programmata non è più finalizzata alla produzione di calcare, ma al recupero ambientale: il materiale frantumato, infatti, non viene destinato alla produzione, ma viene lasciato sul posto, diventando la base per riporto di terreno vegetale e per il successivo rinverdimento. La minore inclinazione dei fronti così ottenuta consentirà di evitare che pendenze eccessive favoriscano il dilavamento o la instabilità del terreno vegetale riportato.
La morfologia desiderata si ottiene forando il calcare con un’inclinazione definita e progettando la volata in modo da ottenere un materiale di pezzatura media, facilmente sistemabile medianti mezzi meccanici.
Il recupero vegetazionale – Sulla base di questa morfologia è quindi possibile procedere con l’impianto delle specie erbacee, arbustive ed arboree. L’obiettivo del ripristino vegetazionale è realizzare un ecosistema in grado di auto-sostenersi e di riprodursi nel tempo in modo autonomo, così da minimizzare gli interventi ulteriori per effettuare irrigazioni e concimazioni che, con questa metodica, vengono ridotte ad una quota fisiologica minima.La conoscenza delle associazioni vegetali e dei diversi ecosistemi presenti nell’intorno dell’area di cava é di fondamentale importanza per comprendere quale evoluzione potrà avere la vegetazione e per ottimizzare, di conseguenza, la scelta delle essenze da impiegare. Al termine di tali operazioni, ogni area viene idroseminata con un miscuglio di sementi erbacee selezionate per la zona specifica; lo scopo di quest’operazione è di ottenere il rapido sviluppo di uno strato erbaceo, caratterizzato da specie pioniere, tale da garantire una elevata capacità di riproduzione vegetativa e il conseguente apporto di sostanza organica nel suolo, fin dal primo anno di impianto.
Negli anni successivi, sulla superficie inerbita, si procede all’impianto di essenze arbustive ed arboree con densità non inferiori a 1.100 esemplari per ettaro, in modo da permettere una buona copertura del suolo.
L’impatto visivo della cava è strabiliante. Un’area più grande di uno stadio, spianata e gradinata apre un vasto panorama in mezzo alla vegetazione. La superficie appare sterminata. Questo scavo non è visibile da altri punti di osservazioni in quanto si trova alla sommità del rilievo carsico.
Purtroppo abbiamo notato l’esistenza di una discarica abusiva a lato della cava, vicino al cancello. Questa vandalizzazione dell’ambiente, sommata agli stracci trovati lungo il percorso, non favorisce un buon impatto visivo generale dell’escursione e lascia un po’ l’amaro in bocca.