L’INPS sta già tremando: uno studio congiunto dell’Università di Padova, l’Università di Bologna, l’Istituto Telethon di Genetica e Medicina di Pozzuoli e l’Istituto Superiore di Sanità di Roma, sulla genetica dei vermi, ha portato alla luce una scoperta strabiliante
Scoperto un nuovo gene che aiuta a invecchiare in salute e migliora la qualità della vita. Si chiama Mytho e la sua scoperta si deve a una ricerca internazionale durata nove anni e guidata dall’Università di Padova. Allo studio, pubblicato sulla rivista Journal of Clinical Investigation hanno contribuito l’Università di Bologna, l’Istituto Telethon di Genetica e Medicina di Pozzuoli e l’Istituto Superiore di Sanità di Roma.
Gli esperimenti su un verme – Gli esperimenti fatti sul verme Caenorhabditis Elegans, un modello animale molto usato nei laboratori di genetica di tutto il mondo, indicano che spegnendo questo gene le cellule invecchiano precocemente e si accorcia la vita; attivandolo, invece, si riesce a mantenere più a lungo un buono stato di salute.
“Tutto è cominciato con una ricerca informatica per identificare nel genoma umano potenziali geni ancora sconosciuti”, racconta la ricercatrice Anais Franco Romero. “Tra i diversi candidati il team si è focalizzato su un gene che spiccava per essere estremamente conservato tra le diverse specie animali, dall’uomo fino ai vermi, denominato Mytho”, dice Franco.
I meccanismi regolati dal gene I ricercatori sono anche riusciti a capire i meccanismi molecolari governati da questo gene: hanno infatti scoperto che regola il meccanismo dell’autofagia, che permette di rimuovere proteine e altre componenti danneggiate all’interno delle cellule.
Cosa sappiamo del nostro codice genetico? “Dopo anni di studi, siamo arrivati a conoscere qualcosa del nostro genoma, ma la funzione della maggior parte del nostro codice genetico è ancora ignota. Un esempio sono i geni che codificano le proteine, di cui più di 5mila su un totale di 20mila sono completamente sconosciuti. Per questo negli ultimi anni abbiamo impiegato risorse ed energie per caratterizzare questo sconosciuto mondo del nostro Dna”, commenta Marco Sandri, coordinatore dello studio.