Correva il 2013 quando il fotografo triestino Gabriele Crozzoli decise di raccogliere in un libro le foto degli elementi di pregio architettonico della nostra città. QUI, nell’archivio di informatrieste, trovate il vecchio articolo della presentazione presso la libreria Minerva di Trieste, con i dettagli tecnici e commerciali.
Dal Tritone che adorna il tetto del Palazzo della Regione, a Micheze e Jacheze sulla torre del Municipio, e poi ancora la colonna dedicata a Leopoldo I d’Austria e tutti i particolari dei palazzi storici, immortalati dalla macchina fotografica di Crozzoli. Quando camminando a testa in su, vediamo le statue, le colonne, i fregi e gli ornamenti, spesso ci chiediamo: sarà opera di chi? In quale periodo?
“Non c’è al mondo una città che abbia uno stemma più bello di quello di Trieste. L’alabarda, così asciutta, essenziale, forte e bella, elegantissima, batte tutti, anche il giglio di Firenze, rovinato, in confronto, dai troppi abbellimenti. Torri, croci, biscioni, lupe, tori, non ce la possono con quello svelto ferro dì lancia affiancato dalle due sottili mezze lune. I triestini ne sono fieri, e basta dire “alabarda”, anche senza un punto esclamativo, per vederli accendersi della fiamma più bella. E i triestini vogliono anche molto bene al loro patrono, San Giusto; questo lo sanno tutti (…) Ma in questo amore c’è un piccolo geloso segreto, un dolore nascosto che i triestini non confessano neanche a sé stessi. L’alabarda non è il simbolo di San Giusto; è invece quello di San Sèrvolo, un soldato bello ed elegante come l’arma che portava. Di lui i triestini sanno poco, lo confondono con San Sergio, lo confondono con Servola, che prima di scomparire fagocitata nel quartiere industriale della città, era un campaniletto con quattro case intorno e si specchiava in mare in cima a un promontorio; lo confondono col Castello di San Sèrvolo, là su, lontano sul ciglio del Carso, con una sagoma quadrata, d’un grigio perla che sfuma nel cielo ed attenua il suo aspetto un po’ grifagno. San Sèrvolo non si sa bene da dove venga. Ha dato ai triestini la loro alabarda, ma i triestini in cuor loro quasi quasi gli fanno colpa di averla tolta al loro vero santo protettore”
Alberto Spaini, da Autoritratto triestino – Edizioni Giordano, Milano 1963.