I dati del PM10 registrati nel 2020, relativi a complessive 530 stazioni di monitoraggio, evidenziano che il valore limite giornaliero (50 μg/m3, da non superare più di 35 volte in un anno) è stato superato in 155 stazioni (29,2%), in larga prevalenza (131 stazioni su 530) nel bacino padano (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia). Per quanto riguarda invece il valore di riferimento OMS giornaliero (50 μg/m3, da non superare più di 3 volte in un anno), è stato superato nel 2020 in 400 stazioni (75,5%). In questo caso i superamenti interessano tutte le regioni italiane, con la sola eccezione della provincia autonoma di Bolzano. Va ricordato che Recentemente l’Italia, anche per i superamenti del limite giornaliero (per gli anni dal 2008 al 2017) è stata condannata dalla Corte di Giustizia Europea (sentenza pronunciata il 10 novembre 2020).
L’indicatore relativo alla media giornaliera, per la quale è stata individuata la soglia di 50 μg/m3, serve a valutare l’esposizione acuta a breve termine. Ad essa fanno riferimento sia il valore limite di legge nazionale ed europeo (massimo numero di 35 superamenti annui del limite giornaliero) che il valore di riferimento proposto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (non superare più di tre volte in un anno), fatto proprio anche dall’ONU (Agenda 2030) e dall’Unione Europea (Strategia “Aria pulita” per l’Europa”) come obiettivo cui tendere entro il 2030. Il PM10 (materiale particolato aerodisperso di dimensione inferiore a 10 μm), costituisce da sempre una delle componenti dell’inquinamento atmosferico sui cui si concentra l’attenzione, in quanto vari studi epidemiologici sugli effetti sanitari dell’inquinamento atmosferico da particelle, hanno evidenziato associazioni tra le concentrazioni in massa del PM10 e un incremento sia di mortalità che di ricoveri ospedalieri per malattie cardiache e respiratorie nella popolazione generale. I soggetti ritenuti maggiormente esposti a tali effetti sono in particolare, gli anziani, i bambini, le persone con malattie cardiopolmonari croniche e affette da influenza o asma; su di essi si concentrano incrementi di mortalità e seri effetti patologici a seguito di esposizioni acute a breve termine.
Da quest’anno il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente diffonde a metà gennaio, “up-to-date“, questi dati relativi all’intero territorio nazionale, anticipando le consuete relazioni di approfondimento sui risultati dei monitoraggi, continuando così le operazioni già fatte per i dati della balneazione e per quelli relativi ad un inquinante tipicamente estivo come l’ozono.
I dati del 2020 sono in generale superiori rispetto all’anno precedente per quanto riguarda il limite di legge, che nel 2019 era stato superato nel 22% delle stazioni (115 su 521), e sostanzialmente analoghi rispetto al valore di riferimento dell’OMS che nel 2019 era stato superato nel 76% (395 su 521) delle stazioni di monitoraggio. [vedi dettaglio dei dati per gli anni 2015-2019]
Da una prima analisi dei dati uno dei fattori principali che hanno originato l’aumento rispetto al 2019 è stata la minore piovosità sia a gennaio che da ottobre alla prima metà di dicembre 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019. Il lockdown legato all’emergenza COVID-19 non è stato sufficiente a compensare una meteorologia meno favorevole alla dispersione degli inquinanti, sia perché ha avuto luogo in un periodo dell’anno in cui le concentrazioni di PM10 sono già di per sé poco elevate, sia perché i suoi effetti sul PM10 sono stati relativamente contenuti, rispetto a quelli invece verificatisi per il biossido di azoto (Vedi “Qualità dell’aria e lockdown”).
I mesi invernali sono quelli dove è più frequente il superamento della soglia di 50 microgrammi al metro cubo. Gli sforamenti si verificano spesso nei giorni di stagnazione atmosferica (caratterizzati da ventilazione scarsa, alta pressione, bassa temperatura, assenza di precipitazioni, condizioni che favoriscono l’aumento della concentrazione di polveri nell’aria) particolarmente frequenti nel bacino padano, nelle zone pianeggianti dell’entroterra, nelle valli subalpine e sub appenniniche.
È possibile che nel 2020 il numero di giorni “critici” dal punto di vista meteorologico sia stato maggiore rispetto al 2019, occorre però attendere le necessarie verifiche per confermare questa possibile spiegazione.
Il lockdown poi ha interessato mesi nei quali è meno frequente il verificarsi dei superamenti. Inoltre alcune delle sorgenti principali di particolato (gli impianti di riscaldamento alimentati a biomassa e le attività agricole e zootecniche – rilevanti per l’emissione di sostanze gassose dalle quali in atmosfera si possono formare particelle) non sono state interessate dal lockdown, anzi in alcuni casi si sono registrati aumenti del consumo di biomassa per il riscaldamento rispetto al periodo stagionale tipico.
Tutto questo non fa che confermare l’esigenza di ridurre in modo sinergico e su ampia scala non solo le emissioni dovute ai trasporti su strada, ma anche quelle dovute alla combustione di biomassa e alle attività zootecniche.