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Le posizioni della Chiesa cattolica nei Balcani prima e dopo il Grande Scisma

La divisione dell’Impero romano, iniziatasi nel III sec. d.C. ha indirettamente contribuito all’avverarsi del “Grande scisma”, che si è compiuto nel XII secolo e di cui si ebbero le ripercussioni, sia, primo, come l’estensione territoriale delle conquiste turche, a cavallo del Medio e Nuovo evo, e dopo, come il relativo sorgere dei nuovi, indipendenti stati balcanici, verificatosi tra la seconda metà del XIX e la prima metà XX secolo, sia nell’approfondimento delle differenze etniche fra le tribù serbe e quelle croate e nel sempre maggiore acutizzazione del conflitto concorenziale spirituale-gerarchico fra le due principali Chiese cristiane ivi presenti.

Nel contesto in esame la Chiesa cattolica romana difendeva in sostanza le proprie posizioni conquistate nei Balcani già nei primi secoli del Cristianesimo e preservate in seguito al II Concilio di Nicea, del 787, ed anche dopo il concretizzarsi ufficialmente dello Scisma suddetto, agli inizi del XII secolo. Infatti, negli stati balcanici dell’epoca, persino nel Bisanzio (specialmente durante il cosidetto “Impero latino”), esistevano parallelamente e nei medesimi territori delle diocesi cristiane di rito cattolico e quello ortodosso. Lo stesso dicasi anche per la Serbia, la Rascia e la Zenta (Montenegro) nell’epoca della dinastia dei Nemanidi.

Ora vediamo il fatto della costituzione, nel 1067 (e confermato nel 1089 dall’anti-Papa Clemente III) dell’Arcivescovado cattolico a Bar (Montenegro), con un “Primate di Serbia” a capo e le coronazioni dei primi re serbi per opera degli inviati speciali papali, ma quello che vogliamo ora precisare è la esistenza, magari minoritaria, per tutto il Medio evo, delle comunità di confessione cattolica e delle rispettive gerarchie ecclesiastiche nelle regioni dell’attuale Serbia, Macedonia e persino della Bulgaria e Romania. Inoltre, abbiamo accertato che i primi missionari, frati francescani, che hanno cominciato a giungere in Bosnia ed Erzegovina, già nel XIII secolo, sono arrivati non dalla Dalmazia, ma addirittura dalla Serbia, dove erano giunti in precedenza, per concessione del “re serbo Stefano”. Quest’ultimo dato lascierebbe dei dubbi sulla precisa identità di tale re perchè diversi re serbi della dinastia dei Nemanidì portavano il medesimo nome con vari nomignoli, per esempio: Stefan Nemanja, Stefan Prvovencani (il Primocoronato), Stefan Decanski (dei Deciani), e Stefan Dusan, ma dai dati storici esposti in un libro, recentemente pubblicato in Bosnia dal regionale Ordinariato dei francescani con il titolo “Gli otto secoli dei francescani bosniaci”, risulterebbe che fu proprio Stefano, “il Primocoronato”, a concedere l’insediamento dei francescani nel suo regno, che quella volta abbracciava anche una buona parte della Bosnia.

E da concludere che l’evento del “Grande scisma” non alterò sostanzialmente nei primi secoli l’equilibrio dominiale ecclesiastico fra le rispettive consorelle cristiane operanti nei Balcani. A questo punto possiamo aggiungere che le inclinazioni ecclesiastiche dei singoli appartenenti alla dinastia Serba dei Nemanidi erano piuttosto variabili. Per esempio il capostipite Nemanja, nato a Ribniza, vicino Podgoriza (Montenegro) fu battezzato cattolico, assieme ai suoi figli Stefan, Vukan e Rastko. Il suo primogenito Stefan (di cui la moglie, in prime nozze, era la Veneziana Anna Dandolo) fu all’inizio del suo regno incline all’Occidente e devotissimo all’Autorità papale, mentre il suo fratello minore, Rastko, diventando monaco ed educato nei monasteri del Monte santo in Grecia, propendeva per l’Oriente e per l’Ortodossia, ciò che anche prevalse per diversi decenni. In seguito, il re serbo Milutin, suo fratello Dragutin e specialmente il re Stefan “dei Deciani”, mostravano molta tolleranza ed affinità verso la Chiesa cattolica. Sembra che quest’ultimo intendeva addirittura proclamare il Cattolicesimo religione di stato e che per lo stesso motivo venne in conflitto con il proprio figlio, futuro imperatore serbo Dusan, sostenuto da alcuni capi feudali, e fu ucciso.

All’epoca degli ultimi regnanti serbi Nemanidi ed altri, nel tardo Medio evo, esistevano nelle parti centrali ed orientali dei Balcani e talvolta prosperavano diverse diocessi cattoliche (come quelle di Belgrado, Nis, Skopje, Sofia ed altre), senza contare quelle site più all’Occidente e lungo la costa adriatica. Dopo l’occupazione turca dei Balcani e nei primi decenni del Nuovo evo la situazione cambia nel senso che vennero attenuate, anche se non soffocate tutte le attività ecclesiastiche nei territori occupati dai turchi, in special modo quelle dei missionari ed emissari cattolici. In tale situazione la Chiesa cattolica battè una specie di ritirata, rafforzando però, le proprie basi nei territori limitrofi, come la Bosnia ed Albania, oppure in quelli rimasti ancora liberi, come la Dalmazia, Croazia, Slavonia, Ungheria, Austria e Slovenia. Cosi sorse una specia di cordone ecclesiastico cattolico di difesa, di cui le cittadelle principali diocesane erano site nelle sedi vescovili di Lubiana, Trieste, Fiume, Zara, Spalato, Ragusa, Cattaro, Antivari, Scutari, da lato Ovest, ed inquelle di Zagabria, Graz, Kalocia e Djakovo, da lato Nord, mentre gli avamposti rimanevano attorno i vari conventi dei frati cattolici, di prevalenza di ordine dei francescani, disseminati in Bosnia ed Herzegovina.

Dopo l’occupazione e la susseguente annessione della Bosnia ed Herzegovina da parte dell’Austro-Ungheria, iniziata alla fine dell’800 e pure dopo gli eventi della prima e della seconda Jugoslavia, la posizione difensiva della Chiesa cattolica nei Balcani restò immutata. Soltanto in due momenti tale posizione sembrò passare in avanzata ecclesiastica e precisamente negli anni della prima Jugoslavia governata dal Principe-Reggente Paolo, quando stava per concludersi un favorevole Concordato (mancato) fra lo Stato e la Chiesa cattolica, ed alcuni anni più tardi, durante la ultima guerra, quando la parte militante del clero cattolico croato pensò di poter intraprendere una discuttibile azione di conversione degli aborigeni scismatici slavi. Durante il regime comunista nell’ex-Jugoslavia l’attività della Chiesa cattolica era controllata e ridotta, come, del resto, di tutte le altre confessioni. Succesivamente, nonostante e, forse, anche per causa dei grandi disagi di guerra, abbiamo assistito ad un grande risveglio religioso e dell’attività di tutte le Chiese e con quella cattolica in espansione verso l’Est.

jugoslavia mappa

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