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Parla il primario di Padova: “Pochissimi pazienti con la polmonite da covid, chi entra in ospedale ha altre malattie”

Intervistato il professor Andrea Vianello, coordinatore regionale delle terapie sub intensive dell’Ospedale di Padova: «Negli ultimi 5 mesi nessun ricovero sotto i 50 anni»
di Michela Nicolussi Moro (Corriere del Veneto)

primario terapie intensive Padova

Professor Andrea Vianello, lei è in prima linea dall’inizio della pandemia come primario della Fisiopatologia respiratoria in Azienda ospedaliera a Padova e come coordinatore regionale delle Terapie Sub-intensive. Oltre ai contagi ricominciano a crescere i ricoveri: com’è la situazione in ospedale?

«Lo scenario è cambiato. E’ cambiato il rapporto tra contagi e ricoveri ordinari e tra ricoveri ordinari e degenze nelle Terapie Sub-intensiva e intensiva. Se fino alla quarta ondata della pandemia scoppiata tra ottobre e dicembre si contava un paziente in Terapia intensiva ogni 10 malati Covid in area medica, adesso il rapporto è di 1 a 30. Ed è mutata anche l’intensità delle cure, tanto è vero che al boom di contagi non corrisponde un picco di ricoveri (sabato a fronte di 9.214 nuovi casi il Veneto contava 846 ricoveri in area medica e 37 in Terapia intensiva, ndr). Ormai pochissimi pazienti hanno la polmonite».

Insomma, chi sono i ricoverati di questa ondata?

«Oggi il problema è più il contagio della malattia (secondo l’Istituto superiore di Sanità il 72% dei nuovi casi è asintomatico, ndr). I degenti Covid sono persone che entrano in ospedale per altre malattie, per esempio cardiovascolari o croniche, e al tampone di ingresso risultano anche positive al Covid. Ma non è il problema principale e infatti restano ricoverati nei reparti dedicati alla loro patologia primaria. A parte casi molto gravi, rari, appunto: la Terapia intensiva di Padova attualmente ne conta tre e altrettanti la Sub intensiva, uno solo dei quali con polmonite. In compenso ci sono 97 pazienti Covid in area medica».

Ma allora tutta la polemica su concerti e grandi assembramenti?

«La situazione negli ospedali deve cambiare la logica della prevenzione. E’ inutile prendersela con i 70 mila spettatori dei Maneskin, per esempio, che sicuramente avranno contratto l’infezione ma essendo giovani e sani non andranno oltre una sindrome influenzale, con qualche linea di febbre e un po’ di tosse. Il punto è tenere lontani dal contagio soggetti gravati da malattie concomitanti importanti, che rischiano di essere ricoverati».

Cioè?

«Mi riferisco agli anziani, soprattutto. Dall’inizio della pandemia nel mio reparto abbiamo assistito mille pazienti Covid, che dallo scorso febbraio sono quasi esclusivamente anziani, benché vacclnati. In loro il Covid provoca sempre un grave scompenso. Negli ultimi cinque mesi non abbiamo ricoverato nessuno sotto i 50 anni, tranne un malato di leucemia e un altro colpito da linfoma».

Stanno riaprendo letti e reparti Covid?

«Alcuni reparti Covid sono rimasti tali, altri stanno riaprendo, ma per pazienti a bassa intensità di cure. In qualche ospedale del Veneto la Terapia Sub intensiva è ancora riservata ai malati Covid. Insomma, la pandemia continua a complicare la vita di chi lavora in ospedale».

Questa quinta ondata mette a rischio le ferie del personale sanitario?

«In effetti dobbiamo fare i conti con un problema non di poco conto: tanti medici e infermieri si sono infettati o re-infettati (nell’ultima settimana sono risultati positivi al tampone 2430 operatori sanitari nel Veneto, secondo il dossier di Azienda Zero, ndr), e ciò rende più difficile il lavoro a tutti. Non è purtroppo un’estate di ritorno alla normalità, come si auspicava, quindi riusciamo ad andare in vacanza con questa variabile».

Va però detto che ormai ci si negativizza più velocemente. All’inizio l’isolamento poteva durare anche 50 giorni, adesso nel giro di 7-10 si è fuori dal tunnel.

«Sicuramente il Covid non è più grave come prima. La maggioranza dei soggetti contagiati se la cava con qualche giorno di febbre e mal di gola, appunto. L’impressione è che con le nuove varianti Omicron la sintomatologia sia meno aggressiva».

È la spiegazione delle poche polmoniti?

«Sì, adesso il Sars-Cov2 raramente colpisce le vie aeree profonde e arriva ai polmoni. E la dimostrazione è proprio il bollettino quotidiano: con tutti i contagi che ci sono, se l’infezione avesse mantenuto le caratteristiche iniziali a quest’ora dovremmo essere pieni di pazienti con la polmonite. E invece per fortuna rappresentano una rarità».

E quindi, nonostante le tre dosi di vacclno, i soggetti davvero a rischio restano gli anziani?

«Sì, in questa fase la differenza la fa l’età, più che la vacclnazione. Anche perché tutti gli anziani sono immunizzati ma se prendono il Covid possono sviluppare malattia grave. Faccio un esempio: il Covid non ha scatenato la polmonite nemmeno nei cardiopatici, che infatti restano in Cardiologia».

E i non vacclnati non rischiano?

«Tra ottobre e dicembre abbiamo ricoverato solo persone tra 50 e 60 anni non vacclnate. Adesso non più».

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