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Nordest, aperte 1000 partite iva all’anno dai cinesi: 55% dichiara zero al fisco

Attività commerciali che nascono vorticosamente ogni giorno, mentre altre chiudono. Redditi dichiarati pari a zero o ridicoli. Spuntano perfino banche segrete. In questi giorni si sta scoperchiando il vaso di pandora, che contiene le famose scatole cinesi. Implicati anche friulani.


I sospetti della Guardia di Finanza erano fondati: «Tra il 2008 e il 2020 solo nel Nordest sono state aperte da cinesi 15 mila partite Iva e il 55 per cento ha dichiarato zero euro, il 20 per cento tra seimila e zero euro di fatturato…».

Una banda italo-cinese, utilizzava documentazione fiscale e ambientale generata dalle operazioni inesistenti di aziende manifatturiere per rivendere gli scarti di lavorazione metalliche in nero. In totale, l’associazione ha frodato il Fisco per circa 300 milioni di euro. Oltre agli arresti e ai sequestri, la GdF ha eseguito 50 perquisizioni tra Padova, Verona, Venezia, Udine, Gorizia, Treviso, Belluno, Brescia e Como.

Si chiude il cerchio della maxi inchiesta della guardia di finanza sulla banca segreta cinese, con “uffici” in varie città della penisola, capace di movimentare miliardi di euro verso il Paese asiatico e – sospettano le autorità italiane – di offrire servizi particolari a clienti danarosi, come operazioni di riciclaggio per narcotrafficanti o mafiosi, per evasori fiscali o truffatori di “alto rango” oltreché per i cinesi attivi nel nostro Paese con attività in nero o fuori di ogni regola.

Una banca segreta che, di fatto, sosterrebbe l’economia illegale cinese destinata a proliferare in Italia, trasferendo soldi sporchi nelle banche (di Stato) del gigante asiatico. Il tutto senza lasciare traccia e al costo di una provvigione fra i il 2 e il 5 per cento del danaro trasferito.

È quanto emerso dall’ultima relazione firmata dal generale della guardia di finanza Bruno Buratti, già comandante dell’area Triveneto delle fiamme gialle fino alla scorsa estate.

Fu proprio l’indagine denominata “La via della seta”, condotta nel 2021 dalla guardia di finanza di Pordenone, a scoprire una frode da oltre 300 milioni di euro e il trasferimento in Cina di 150 milioni provenienti dal traffico illecito di rifiuti. Tutto si svolgeva in un negozio padovano di abbigliamento del Centro Ingrosso Cina (“Pier Monì”, denominazione oggi sparita dalla porta di ingresso, nonostante il negozio continui a esistere), secondo l’accusa, lo sportello bancario della banca segreta cinese per il Nordest.

A gestirlo una donna di nazionalità cinese ribattezzata “La grande sorella”. Lo frequentava, tra gli altri un imprenditore di San Vito al Tagliamento, a cui, insieme a due compaesani, viene imputato di aver ideato un traffico di rifiuti ferrosi con emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti in grado di sottrarre al fisco 140 milioni di euro.

Il friulano è stato filmato dagli investigatori mentre usciva da quel negozio con «buste piene di qualcosa». La finanza ritiene si tratti dei contanti movimentati nello “sportello” padovano, che avrebbe custodito i soldi in sacchi.

Secondo le risultanze investigative, attraverso un complicato meccanismo, l’imprenditore e i compagni protagonisti del traffico acquistavano scarti metallici da produzione da imprese del lombardo veneto, fingendo con la Femet di San Quirino, oggi cessata, e altre due società trivenete di comprare il materiale da tre società cartiere aperte in Repubblica Ceca e Slovenia.

Società vuote, buone solo per emettere fatture per operazioni inesistenti che, a loro volta, facevano figurare l’importazione del prodotto dalla Cina. E in Cina venivano eseguiti pagamenti veri. Lo schema descritto ne “La via della seta” torna nell’inchiesta, sempre della guardia di finanza, su un 47enne ex portiere d’albergo poi sedicente broker, in carcere dal settembre 2018 e dallo scorso agosto con una condanna definitiva a 10 anni di carcere per la maxitruffa Venice (prometteva fantomatici profitti del 10% su base trimestrale con investimenti nel mercato valutario del foreign exchange).

In occasione di una perquisizione, un suo cliente cerca di far sparire un hard disk gettandolo fuori dalla finestra: i file recuperati evidenziano pagamenti a società cartiere in Bulgaria e Slovenia per finti smaltimenti di rottami di ferro e acquisti (altrettanto fasulli) di identico materiale dalla Cina con bonifici in una banca di Shanghai.

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