Nel 1750 l’imperatrice Maria Teresa, a spese dell’Erario, fece ripristinare l’acquedotto che i romani avevano aperto ai piedi dei Monte Spaccato per l’approvvigionamento idrico della città. L’opera fu eseguita dal Tenente del Genio Bonomo su progetto del generale Boehm. Nel 1816, conduttori e canaletti che erano in legno, vennero sostituiti dal Comune con tubi di ferro. in via del Capofonte, nel rione di Guardiella, esiste ancora la casetta del capofonte, che racchiude le due vasche, una di raccolta e l’altra di decantazione, per l’acqua della sorgente. La lapide sulla porta d’entrata dice testualmente:
“PRISCA QUIRITUM – OBERRATA – NUNC DENUO – URBI ET ORBI RESTITUO – DIVIS – MARIA THERESIA CUM FRANCISCO – IMPERANTIBUS – STUDIO ET CURA PRAESIDUM -DE CHOTEK AC HAMILTON”.
L’acquedotto percorreva via Pindemonte e tutto il viale XX Settembre (con una deviazione lungo via Giulia) arrivava in città ed alimentava le sette grandi fontane pubbliche: la fontana della Zonta (nella via omonima), la fontana della Caserma Grande [in piazza Oberdan), la fontana del Giovanin (in piazza Ponterosso), la fontana del Nettuno (in piazza della Borsa), la fontana dei Quattro Continenti in piazza Unità d’Italia (il quinto continente allora non era stato ancora scoperto!) e l’ultima, la piccola fontana dei Leoni, in piazza S. Antonio Vecchio. Lungo tutto il percorso si aprivano delle fontanelle secondarie. In via Pindemonte possiamo ammirarne due: la fontana del delfino e “Ligi Ganassa”. Quest’ultima rappresenta un leone che, a causa di un guasto subito chissà quando, il popolo ha così battezzato. Sempre in via Pindemonte sorge ancora la Casa dei Fontaniere, che ospitava un tempo l’addetto alla pulizia delle vasche di decantazione e delle fontanelle collocate lungo il percorso dell’acquedotto.
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