Il gip: “Il killer sapeva sparare E non risulta malato di mente”. Il giudice: «Ha agito con lucidità». Il questore: evitati danni peggiori. La sparatoria ripresa dalle telecamere dell’atrio.
Il killer dominicano, Alejandro Augusto Stephan Meran, che ha ucciso due poliziotti nella Questura di Trieste e ferito un terzo agente non è un Rambo improvvisato da video games, ma «aveva familiarità con le armi» tanto da ipotizzare un addestramento da guerriglia in qualche banda latinoamericana. Il gip, Massimo Tomassini, lo scrive a chiare lettere nell’ordinanza di convalida della custodia cautelare. Le telecamere interne inquadrano l’assassino mentre spara con le due pistole strappate alle vittime. La seconda era ancora nella fondina anti estrazione, ma l’hanno sentito mettere il colpo in canna.
All’esterno della Questura, intercettato da tre agenti della Squadra mobile, ha aperto il fuoco contro la loro auto senza insegne colpendo il montante ad altezza d’uomo. «Dati oggettivi che dimostrano dimestichezza o almeno scioltezza nell’uso dell’arma» spiega al Giornale un investigatore che si occupa del caso. Il Gip sottolinea che poteva essere «una mattanza».
Stephan Meran, imputato di omicidio plurimo e tentato omicidio ha sparato ad 8 poliziotti dentro e fuori la Questura ferendone uno alla mano sinistra. Il capo della Mobile, Giovanni Cuciti, ha dichiarato che sono stati esplosi in tutto 22 colpi. Il killer dominicano ha tirato il grilletto 15 volte con la prima pistola portata via all’agente Pierluigi Rotta e uno o due con la seconda della vittima Matteo Demenego. «Hanno sentito che metteva il colpo in canna della calibro nove strappata con tutta la fondina all’agente Demenego dopo avergli sparato» spiega un investigatore.
Il gip sostiene che l’assassino ha dimostrato «lucidità» portando avanti senza indugi «un’azione aggressiva». Sulla malattia mentale denunciata dai familiari il pubblico ministero, Federica Riolino, non ha trovato alcun riscontro a parte alcuni «farmaci rinvenuti all’esito della perquisizione domiciliare». Il questore di Trieste, Giuseppe Petronzi, alla domanda se è stata evitata una strage ha risposto in maniera lapidaria: «E’ un dato di fatto: i video mostrano fasi concitate e drammatiche».
Da dove spunta il killer immigrato da 7-8 anni in Italia, che sembra avere «familiarità con le armi»? Stephan Meran ha vissuto con il fratello Carlysle dal 2017, almeno per un anno, a Ponte delle Alpi, comune di appena 8.194 anime. E faceva il magazziniere a Belluno. Il futuro assassino, fermato una volta ad un posto di blocco, risulta incensurato. Il fratello era stato trovato con una scimitarra in macchina e segnalato per porto abusivo di arma da taglio.
E proprio da Ponte delle Alpi sono partiti due jihadisti balcanici per la Siria legati all’imam dell’Isis Bilal Bosnic, oggi in carcere in Bosnia. «Al momento non risulta alcuna contaminazione con ambienti jihadisti. Al contrario i due fratelli, come la famiglia, sono molto legati alla religione cristiana» spiega al Giornale una fonte dell’antiterrorismo.
I fratelli Stephan Meran erano arrivati nel bellunese dall’Aquila e prima ancora da Udine, dopo la Germania, grazie ad un ricongiungimento familiare. Si sta indagando sul passato europeo del killer. Oggi dovrebbero arrivare i primi riscontri dalla Germania anche sulla supposta patologia psichiatrica e le cure in territorio tedesco. Non è chiaro da quanto tempo si trovasse nello spazio Schengen, ma era in possesso di un regolare permesso di soggiorno in Italia.
Il pluriomicida di 29 anni dove ha imparato ad usare le armi? Difficile che abbia potuto farlo attraverso i video games, ma forse ha fatto il militare oppure è stato affiliato a bande latino americane, che solitamente sono sanguinose e ben armate. Intanto l’uomo si trova ricoverato al sesto piano dell’ospedale di Cattinara a Trieste, nel reparto di Medicina d’Urgenza. Il killer è sorvegliato a vista da un agente della penitenziaria, che staziona con lui nella stessa stanza, e da altri tre poliziotti che controllano dall’esterno. Nessuno può avvicinarlo soltanto il personale medico.
Giuseppe Petronzi: «I filmati ripresi dalle telecamere testimoniano la capacità di reazione che ha scongiurato il peggio». Stazionarie le condizioni dell’autore del duplice omicidio. I colleghi dei due agenti morti: «Scarrellava la pistola». I poliziotti che lo seguivano fuori dalla Questura di Trieste e con i quali ha ingaggiato il conflitto a fuoco lo hanno sentito «scarrellare»: cioè, hanno sentito quel rumore tipico che fa la pistola quando deve essere sbloccata prima di sparare. Il dettaglio emerge dall’informativa che la Squadra mobile ha allegato agli atti dell’inchiesta contro Alejandro Stephan Meran, il ragazzo dominicano che ha ucciso i due poliziotti Pierluigi Rotta e Matteo Demenego. Se hanno ragione, significa che l’assassino aveva quantomeno una certa dimestichezza con le armi, ipotesi sulla quale si sta cercando di fare accertamenti anche se nei terminali della Questura il nome del killer non risulta, né ci sono testimonianze o indicazioni sulla sua capacità di utilizzarle. I filmati che lo ritraggono nell’atrio mentre spara con una pistola e stringe l’altra, ancora nella fondina, non mostrano però il momento in cui apre quella fondina e «scarrella». Perché in quegli attimi la visuale della telecamera era coperta dalle automobili della polizia. Le certezze ad oggi sono che, mentre era dietro le volanti, ha aperto la fondina, ha finito i 16 colpi della prima pistola, l’ha buttata per terra, ha aperto la fondina e ha cominciato a sparare con l’altra. Pochi secondi dopo il rumore sentito dai collegi dei morti, Pierluigi e Matteo.