INAUGURATO ALLA PRESENZA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA L’ANNO ACCADEMICO 2021 – 22 DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE:
“FORMAZIONE DI CAPITALE UMANO E CREAZIONE DI ECOSISTEMI DI INNOVAZIONE E RICERCA AL CENTRO DELL’AGENDA”
L’Ateneo segna un trend di crescita che riguarda offerta formativa (+6 nuovi corsi di laurea dal 2020), dottorati di ricerca (+74% iscritti dal 2018) e
organico (+86 docenti rispetto al 2019, +141 tecnici e amministrativi assunti a breve). Forti investimenti nella riqualificazione edilizia con attenzione alla sostenibilità.
Trieste, 28 marzo 2022 – La consapevolezza di una grande responsabilità: far fruttare al meglio le imponenti risorse finanziarie che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza metterà a disposizione, ma anche la determinazione di chi ha già intrapreso un percorso di progetti e investimenti per contribuire al rilancio del Paese.
Si è presentata in questi termini l’Università degli Studi di Trieste nel corso della cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Davanti al Capo dello Stato UniTS ha espresso l’orgoglio di un Ateneo che ha affrontato il biennio della pandemia applicando i protocolli di sicurezza sanitaria e sostenendo i fondamentali ruoli della ricerca scientifica e dell’assistenza medica. Un biennio che l’Ateneo giuliano ha affrontato senza interrompere né rallentare le sue attività istituzionali e il suo processo di crescita.
Il Rettore Roberto Di Lenarda nel suo discorso inaugurale ha voluto inizialmente rivolgere un pensiero a coloro che soffrono in conseguenza del conflitto in corso in Ucraina auspicando che l’Università, quale luogo di conoscenza, ricerca e scambio, contribuisca alla pace e al dialogo tra i popoli. “Continueremo come Sistema Trieste ad essere solidali e aperti a tutte le collaborazioni scientifiche – ha ribadito il rettore – ma saremo anche forti nel condannare le aggressioni di chi pensa di imporre con la forza le sue inaccettabili prevaricazioni”.
UniTS, anche attraverso la rete Scholars at Risk, sta lavorando per garantire il diritto allo studio degli studenti in fuga dalla guerra. Attualmente ha espresso vicinanza ai suoi 66 studenti di origine ucraina e ha messo a disposizione sette borse di dottorato rivolte ai giovani ricercatori della nazione al centro del conflitto.
L’inaugurazione di questa mattina è stata anche occasione per rilanciare l’importanza strategica dei dottorati di ricerca per formare il capitale umano necessario alla ripartenza del Paese. UniTS ha investito ampiamente nei Phd, anticipando il trend di sviluppo previsto dal PNRR: “Nell’ultimo triennio – ha puntualizzato Di Lenarda – i nostri dottorati hanno registrato un incremento degli iscritti del 74%”. Questa crescita sarà ulteriormente accelerata nell’anno accademico 2022/23.
Un altro elemento strategico per innescare una crescita economica solida e duratura è stato individuato nella costituzione e nel consolidamento di ecosistemi di innovazione e ricerca che valorizzino la ricerca applicata e industriale. Il nostro territorio, che vede già in atto sinergie tra enti di ricerca di dimensione internazionale, potrà disporre, attraverso un efficace utilizzo delle risorse legate al PNRR, di un importante fattore competitivo e di ulteriore attrattività.
Lo dimostra, tra gli altri, l’avvio del progetto ambizioso della Hydrogen Valley, promosso dall’Università di Trieste nel campo della transizione energetica, che vede come attori principali la Regione Friuli Venezia Giulia, la Slovenia e la Croazia, esempio unico di collaborazione internazionale in questo settore.
L’Università di Trieste non perde di vista la formazione di primo e di secondo livello. L’offerta formativa continua la sua espansione e, dopo l’attivazione di tre nuovi corsi di laurea nello scorso anno accademico, nel 2022/23 vedranno la luce ulteriori tre corsi di laurea dal grande impatto per il territorio.
Si tratta del corso di laurea in Scienze della formazione primaria, fortemente richiesto dalle istituzioni scolastiche per rispondere alla cronica carenza di insegnanti nella scuola primaria. A questo si affianca il nuovo corso di laurea in Scienze per l’ambiente marino e costiero, che rappresenta invece l’attenzione di UniTS verso il mare e il Porto, attraverso un percorso formativo che ha pochissimi eguali in Italia e che si caratterizza per gli aspetti gestionali. La terza nuova attivazione riguarderà un innovativo corso magistrale in Geofisica e geodati che, rispetto all’offerta di altri atenei nella stessa area disciplinare, si contraddistinguerà per l’approccio multidisciplinare e per l’abbinamento con la Scienza dei dati.
L’arricchimento dell’offerta formativa si traduce in attrattività: “Dopo una crescita delle immatricolazioni dell’11% lo scorso anno accademico, un valore doppio rispetto alla media nazionale – ha ricordato Di Lenarda – oggi UniTS riconferma il numero dei nuovi iscritti a fronte di una stimata riduzione di circa il 5% a livello italiano.
Il gradimento degli studenti è confermato anche da coloro che hanno terminato il percorso conseguendo un titolo di studio: la rilevazione Almalaurea sul profilo dei laureati 2020 ha evidenziato una percentuale di laureati soddisfatti del percorso universitario del 90%.
Non sono però solo studenti e dottorandi ad aumentare: UniTS sta “ripopolando” un organico assottigliatosi nel corso dell’ultimo decennio per effetto del taglio dei finanziamenti e delle norme che hanno limitato le assunzioni e accelerato in alcune fasi i pensionamenti. Per quanto riguarda il corpo docente, alla fine del 2022 l’organico ritornerà al livello del 2011 e sarà superiore di 86 unità rispetto al 2019.
Anche la numerosità del personale tecnico-amministrativo sta invertendo la rotta per effetto delle nuove politiche di reclutamento: a breve si concretizzeranno 43 nuove assunzioni e stanno per essere banditi concorsi per 98 nuove posizioni. Questa programmazione permetterà all’Ateneo di ritornare alla dotazione di personale del 2016.
La crescita dell’organico e quella della popolazione studentesca sono accompagnate anche da importanti investimenti infrastrutturali: tre milioni di euro sono stati stanziati per riqualificare aule e laboratori didattici, in particolare aggiornando le dotazioni tecnologiche. Sono inoltre iniziate le ristrutturazioni previste delle nuove palazzine nel comprensorio del Parco di San Giovanni e del neocostituito Centro interdipartimentale di microscopia avanzato nel Campus di Piazzale Europa ed è al vaglio il possibile recupero dell’ex Campo Profughi, che accolse gli esuli istriani nel secondo dopoguerra a Padriciano, sul carso triestino.
Le ristrutturazioni punteranno alla riduzione dei consumi e alla sostenibilità. “Entro luglio 2022 – anticipa Di Lenarda – sarà attivo un impianto fotovoltaico sul tetto dell’edificio centrale che produrrà 200.000 KWh all’anno, mentre è già in fase di progettazione il raddoppio dell’impianto”.
In chiusura, il Rettore ha espresso soddisfazione per la conclusione della vicenda che ruotava attorno alla sede dell’ex Scuola Interpreti, dopo un’attesa di oltre vent’anni. “Abbiamo sottoscritto questa mattina alla presenza del Presidente Mattarella – ha ricordato – gli atti per il trasferimento di proprietà dell’edificio di via Filzi, già “Narodni Dom” alla Fondazione allo scopo istituita, siglando l’accordo per mantenerne l’utilizzo in attesa della ristrutturazione della nuova sede”. Per Di Lenarda si tratta di “un risultato storico anche per l’integrazione e la crescita pacifica dei nostri popoli”.
Al Presidente della Repubblica sono stati dedicati i ringraziamenti finali del discorso del Rettore, sottolineandone il ruolo di guida in questo momento di difficoltà e incertezze che ci permette di “guardare al domani con speranza, coraggio e fiducia”.
Alla cerimonia hanno partecipato anche il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza, il Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga, il Presidente del Consiglio degli Studenti Riccardo Formisano e la rappresentante del personale tecnico-amministrativo Celeste Gasbarro.
La prolusione è stata affidata a Sara Renata Francesca Marceglia, professoressa del Dipartimento di Ingegneria e Architettura, sul tema “Il lato umano dei dati per la cura delle persone: conoscere, capire, dialogare”.
Il Coro e l’Orchestra dell’Università degli Studi di Trieste, diretti da Riccardo Cossi, hanno eseguito gli inni nazionale ed europeo in apertura di cerimonia e in conclusione il tradizionale “Gaudeamus igitur” che sancisce l’apertura dell’anno accademico.
Intervento del Magnifico Rettore Roberto Di Lenarda
Signor Presidente della Repubblica,
onorevole Ministro, autorità civili militari e religiose, Rettori, colleghe e colleghi docenti e del personale tecnico amministrativo, studentesse e studenti, gentili ospiti, l’Università di Trieste celebra oggi l’inizio del novantottesimo anno accademico dalla data di fondazione.
Avremmo voluto che questa Inaugurazione fosse quella della definitiva ri-apertura dopo anni difficili dal punto di vista sanitario, organizzativo e sociale. Ma ritrovarsi liberamente tutti insieme non è purtroppo ancora possibile; per questo rivolgo un affettuoso saluto a tutta la comunità universitaria che ci sta seguendo in modalità telematica.
Il pensiero iniziale non può che andare al contesto geopolitico. Nessuno poco più di un mese fa, avrebbe potuto ipotizzare una cosi tragica guerra alle porte dell’Europa. Per una città ed un territorio di confine, con ferite del passato che stanno faticosamente guarendo, ciò è ancora più angoscioso.
Siamo passati da una società che credevamo stabilmente pacifica e senza frontiere ad una situazione, tuttora fortemente incerta, in cui perdita di fiducia, di serenità e di sicurezza percepita avranno inevitabili ricadute negative.
Tra i numerosi temi che si imporranno nel prossimo futuro ci sarà quello, epocale, della gestione dell’immigrazione, non solo ucraina, oggi certamente prioritaria. Accoglienza non significa, né può significare, mancanza di regole. Significa apertura a chi soffre, a maggior ragione se per colpa di chi non accetta gli indivisibili principi di pace e democrazia. Ma significa anche ricchezza e futuro per un Paese come il nostro in cui la denatalità è un problema drammatico lontano da una soluzione, a maggior ragione oggi in cui le paure del futuro sono crescenti.
Il nostro Ateneo che ha dato supporto ai suoi 66 studenti ucraini e ha già messo a disposizione sette borse di dottorato per altrettanti giovani ricercatori ucraini, continuerà a supportare e ad accogliere studenti e docenti insieme a Regione e Sistema formativo regionale, nell’ambito della rete Scholars at risk.
Continueremo come Sistema Trieste ad essere solidali e aperti a tutte le collaborazioni scientifiche, ma forti nel condannare le aggressioni di chi pensa di imporre con la forza le sue inaccettabili prevaricazioni.
L’attacco all’Ucraina è stato sferrato mentre non siamo ancora usciti dalla terribile pandemia da Covid-19.
Se nonostante tutto ciò possiamo guardare al futuro con concreto spirito costruttivo è grazie allo sforzo straordinario di tutte le persone, in tutti i ruoli, del nostro Ateneo, che ringrazio di cuore.
In questi due anni l’attività di ricerca è continuata con risultati lusinghieri, sono aumentati i crediti formativi universitari acquisiti, il numero di esami superati, il numero dei laureati e sono migliorati i voti medi di laurea.
Più del 99% del personale strutturato del nostro Ateneo è in possesso del green pass rafforzato. La fascia di età dai 20 ai 29 anni è quella a più alta percentuale di vaccinati, e ciò è particolarmente significativo perchè rappresenta da parte dei giovani una dimostrazione di senso civico e responsabilità verso le fasce più fragili della popolazione.
Sono convinto che l’impegno per mantenere in presenza le attività didattiche, di ricerca e terza missione, sia stato molto apprezzato.
Dopo un aumento degli immatricolati superiore all’11% lo scorso anno accademico, un valore doppio rispetto alla media nazionale, in questo anno accademico stiamo confermando il numero degli iscritti a fronte di una stimata riduzione di circa il 5% a livello italiano.
L’attrattività del nostro ateneo è confermata: il 32% degli iscritti è residente nelle altre tre province della Regione, il 37% in altre regioni italiane e il 7% è costituito da studenti internazionali, percentuale che raggiunge il 10% nei corsi post-lauream.
Il gradimento degli studenti è confermato dalla rilevazione Almalaurea sul profilo dei laureati 2020 che evidenzia una percentuale di laureati soddisfatti del percorso universitario prossima al 90%.
I dieci dipartimenti hanno lavorato molto sul miglioramento e sull’ampliamento dell’offerta didattica. In particolare, nell’anno accademico di cui celebriamo oggi l’inaugurazione, sono stati attivati tre nuovi corsi.
La laurea magistrale in Coordinamento e gestione dei servizi educativi completa il percorso formativo in ambito pedagogico presso la sede di Portogruaro.
La laurea magistrale in Scienze infermieristiche ed ostetriche e la laurea in Assistenza sanitaria, entrambe interateneo con l’Università di Udine, sono una risposta alle crescenti necessità del nostro Sistema Sanitario.
Per il prossimo anno accademico abbiamo già deliberato l’attivazione di ulteriori tre corsi di laurea dal grande impatto sul territorio.
Il corso di laurea in Scienze della formazione primaria, fortemente richiesto dalle istituzioni scolastiche darà risposta alla cronica carenza di personale negli istituti scolastici della scuola primaria; il corso di laurea in Scienze per l’ambiente marino e costiero rappresenta un segno tangibile della forte attenzione che il nostro Ateneo sta rivolgendo, ora e in futuro, al mare e al Porto.
Attiveremo poi un innovativo corso in Geofisica e geodati.
Il tutto con una convinta e crescente collaborazione con le Università regionali e gli enti scientifici del territorio.
Abbiamo investito, da inizio pandemia, tre milioni di euro per migliorare la qualità delle aule e dei laboratori didattici nonchè le relative dotazioni tecnologiche.
Abbiamo incrementato il numero delle aule studio e il loro orario di apertura, attivando, per la prima volta a Trieste, l’orario continuato 7 giorni su 7 della sala lettura della Biblioteca centrale. Continueremo su questa strada e non appena la pandemia ci permetterà di tornare alla normalità, si vedranno a pieno i benefici per i nostri studenti.
Sono finalmente iniziati i lavori per il completamento degli ultimi edifici da ristrutturare del comprensorio di San Giovanni, a breve prenderanno il via quelli per le palazzine del neocostituito Centro interdipartimentale di microscopia avanzata, mentre sono in stato avanzato di progettazione le ristrutturazioni dell’ex castelletto Sevastopulo, della nuova Biblioteca tecnico scientifica e di questa Aula magna. Stiamo inoltre approfondendo il possibile recupero dell’ex campo profughi di Padriciano. Nell’ampio capitolo degli investimenti in campo edilizio, grande attenzione viene posta agli impianti nell’ottica della sicurezza, della fruibilità e della riduzione dei consumi, associata ad una azione di promozione di comportamenti sostenibili finalizzati al risparmio energetico.
Ritengo particolarmente significativo che entro il mese di luglio saranno attivi i pannelli fotovoltaici installati sulla copertura di questo edificio che produrranno 200.000 KWh all’anno mentre è già in fase di progettazione il raddoppio dell’impianto. L’attenzione ed i risultati ottenuti dall’Ateneo sui temi della sostenibilità, sono confermati dal recente specifico ranking Greenmetric che vede l’Università di Trieste all’undicesimo posto tra gli Atenei italiani e al 182esimo a livello mondiale.
Grazie alla nuova attenzione alle necessità della ricerca e dell’innovazione e alla grande opportunità del PNRR possiamo dire che, dopo tanti anni di colpevole sottofinanziamento non mancheranno le risorse finanziarie.
Sentiamo la forte responsabilità di farle fruttare al meglio.
Per questo, i nostri ricercatori, supportati dagli uffici amministrativi, sono molto attivi nella predisposizione delle proposte progettuali. Nelle prossime settimane si definiranno, pur tra alcune importanti criticità per gli Atenei di piccola o media dimensione, le proposte per il bando dei partenariati estesi su cui sappiamo di poter competere ad altissimo livello.
Per tutte le attività che risulteranno finanziate, così come per i successivi bandi a cascata, non sarà però facile riuscire a spendere le risorse sia per la complessità delle procedure e degli adempimenti burocratici che per le criticità dell’applicazione al mondo della ricerca del codice degli appalti, inidoneo a far fronte alle tempistiche ed alle specificità di questa sfida.
Fra le riforme necessarie, molte delle quali già previste nel cronoprogramma concordato con l’UE, ce ne sono alcune che non richiedono investimenti. Fra le altre ritengo prioritaria la necessità di modificare la gestione delle politiche della privacy attuando un approccio che sia meno autolesionistico e penalizzante per l’utilizzo a fini scientifici o di salute pubblica dei dati anonimizzati. Il concetto anglosassone di accountability, previsto anche dalla nostra normativa, prevede correttamente la responsabilizzazione nell’uso dei dati e la giusta sanzione a chi non rispetta le regole, mentre l’interpretazione che viene data attualmente in Italia nei fatti disincentiva fortemente le attività con maggiore potenzialità.
Restando al tema sanitario permettetemi un sentito ringraziamento a tutto il personale che in questi due anni ha dato prova di dedizione, competenza e spirito di servizio anche a fronte di comportamenti di una minoranza offensivi per il loro sacrificio e per il dolore per le tante vittime della pandemia. La stretta collaborazione con le aziende sanitarie e la Regione ha consentito di raggiungere risultati soddisfacenti e riconosciuti anche a livello nazionale. Ma non ci fermiamo e le nuove prospettive in cui l’Università è parte attiva parlano di medicina di precisione, nanotecnologie applicate , robotica, intelligenza artificiale, gestione dei Big Data ma anche di stretta integrazione con le Scienze sociali e umanizzazione delle cure.
Nel complesso, il PNRR rappresenta una formidabile occasione per rafforzare il legame tra ricerca di base e ricerca applicata e industriale, per avvicinare il nostro Paese al livello di finanziamento europeo ma anche alla logica di attribuzione competitiva delle risorse che sarà molto utile per aumentare il tasso di sottomissione e successo ai bandi europei del piano Horizon Europe 2021-2027.
E’ importante non sprecare l’occasione storica di costituire sul territorio reali ecosistemi di innovazione e ricerca che lascino al Paese gli strumenti per modificare stabilmente il trend di bassa crescita che lo ha caratterizzato negli ultimi decenni: uno di questi potrà senz’altro essere la Hydrogen Valley promossa dal nostro Ateneo e che vede la Regione Friuli Venezia Giulia, la Slovenia e la Croazia in piena collaborazione.
In questo percorso un ruolo decisivo è svolto dai dottorati di ricerca. Negli ultimi dieci anni il numero degli iscritti al dottorato in Italia è sceso del 13% e quello dei diplomati di quasi il 30%. In Italia nella fascia di età tra i 25 e i 34 anni solo 1 su 1000 ha un titolo di dottorato contro una media Europea di 1,5 e del 2,1 in Germania. Con il paradosso ulteriore che il 20% dei nostri dottori di ricerca, dopo l’acquisizione del titolo, espatria. Il nostro Ateneo si è mosso da tempo su questo tema e il numero degli iscritti al dottorato è passato da 104 nel 2018 fino a 181 nel 2021, con un aumento complessivo del 74%.
Da quanto detto in relazione al personale in formazione appare chiaro che lo snodo cruciale per vincere la sfida di questa prospettiva di crescita è rappresentato dal “capitale umano”.
Abbiamo completato la squadra dei dirigenti. La scorsa settimana è stato nominato il nuovo Direttore generale. A breve saranno pubblicati i bandi per 98 posizioni di personale tecnico-amministrativo, che si aggiungono alle 43 per le quali si stanno concludendo le procedure concorsuali e che porteranno la nostra Università a recuperare la numerosità del personale a livello del 2016, invertendo un trend che durava da troppi anni.
E’ stato anche deliberato uno stanziamento straordinario per l’acquisizione di tredici figure di supporto all’insegnamento delle lingue straniere che risolveranno una criticità decennale e che garantiranno il sistema di certificazione delle competenze linguistiche e il supporto agli studenti incoming e outgoing.
Sul fronte del personale docente le procedure già deliberate faranno si che a fine anno il corpo docente dell’Università degli Studi di Trieste sarà di 86 unità superiore al 1 agosto 2019 e tornerà finalmente al livello del 2011.
L’impegno forte della governance è quello di garantire la valorizzazione del merito anche nell’ottica della garanzia della parità di genere che andrà declinata a 360° come previsto dal gender equality plan approvato a gennaio.
Gli investimenti per la formazione del nostro personale sono aumentati del 35 % negli ultimi due anni, e particolare attenzione è stata posta anche al supporto alla formazione del personale delle altre Pubbliche Amministrazioni, anche a seguito dell’accordo stipulato con la Funzione Pubblica, il cui ruolo sarà assolutamente strategico per garantire al nostro Paese il recupero di efficienza ed efficacia amministrativa. Permettetemi, infine, di sottolineare come proprio questa mattina, dopo un’attesa di oltre vent’anni dalla prima norma che la disponeva, abbiamo sottoscritto alla presenza del Presidente Mattarella, gli atti relativi al trasferimento di proprietà dell’edificio di via Filzi, già “Narodni Dom” alla Fondazione allo scopo istituita, nonché l’accordo per l’utilizzo dello stesso da parte della Scuola Superiore di Lingue Moderne Interpreti e Traduttori in attesa del completamento della ristrutturazione della nuova sede.
E’ stato un percorso difficile per quelle ferite della storia ancora aperte, con momenti di confronto anche aspro ma sempre in un’ottica costruttiva. Il grande impegno del Presidente, il forte supporto del Ministero dell’Università, e non ultimo uno spirito di piena collaborazione da parte del personale del nostro Ateneo, hanno permesso di raggiungere un risultato storico anche in prospettiva dell’integrazione e della crescita pacifica dei nostri popoli.
Ringrazio dal profondo del cuore il Presidente Mattarella che ci ha concesso l’onore di essere qui con noi oggi. La Sua presenza è testimonianza viva, per tutti ma in particolare per i nostri giovani, della dedizione istituzionale e dell’impegno e sacrificio personale in nome degli ideali e dei valori costituzionali.
E’ un esempio che, pur in un momento di grande difficoltà e incertezza, ci guida e guida i nostri studenti nel 2022 anno europeo dei giovani, a guardare al domani con speranza, coraggio e fiducia.
Prolusione di Sara Renata Francesca Marceglia
Il lato umano dei dati per la cura della persona: conoscere, capire, dialogare
Signor Presidente della Repubblica,
Signor Presidente della Regione,
Signor Sindaco,
Magnifico Rettore,
saluto tutte le Autorità qui presenti e la Comunità Accademica, anche collegata in streaming.
Ringrazio il Magnifico Rettore per aver voluto dedicare questa Prolusione al tema dei dati, un tema che, oltre ad essere uno degli elementi di punta dell’offerta formativa e della ricerca dell’Università di Trieste, ha un carattere di forte attualità, essendo emersa, con grande forza e forse anche urgenza, dal periodo pandemico la necessità di utilizzare efficacemente e di
trattare dati per trovare nuove strategie per garantire la salute. Il tema dei dati è in realtà un tema trasversale, che abbraccia tutte le aree del sapere e credo che le riflessioni che qui
affronteremo riferite al loro ruolo nella cura delle persone siano condivisibili da tante altre discipline, quali quelle giuridiche, economiche e anche umanistiche.
Il mondo dei dati
Io stessa ho vissuto il mio primo incontro con il tema della necessità di avere dati non da un’esperienza scientifica, ma più letteraria quando al Liceo ho letto questo breve racconto di
Isaac Asimov comparso sulla rivista Science Fiction Quarterly nel novembre del 1956, agli albori di quella che noi ormai conosciamo come Intelligenza Artificiale. Il racconto si svolge
in vari brevissimi episodi che coprono un lasso di tempo da un ipotetico 2060 fino a qualche trilione di anni di storia dell’Universo. In ciascuno di questi episodi un uomo (o l’Uomo) pone sempre la stessa domanda ad un “supercomputer” che noi oggi identificheremmo con una versione un po’ avanzata di Amazon Alexa o Apple Siri, e riceve sempre la stessa risposta: “I dati che abbiamo sono insufficienti per rispondere”. Tra le tante intuizioni che mi avevano affascinato in questa lettura, era presente anche questa incombente necessità di avere dati digitali, più di quanti un uomo da solo riesca a processare, per supportare la risposta a domande essenziali. Al momento di questa lettura (era il 1997) il campione del mondo di scacchi Kasparov giocava (e perdeva) una partita con il supercomputer Deep Blue di IBM e, quindi, già eravamo avviati verso il nostro attuale mondo.
Mondo nel quale troppo spesso si sente parlare di «valore del dato», di «guerra dei dati” (come una volta avevamo la “guerra dei brevetti”), intendendo che i dati sono una ricchezza
quasi monetaria. Per la scienza, la “valorizzazione” è il miglioramento della qualità di vita delle persone malate ma anche sane. Riassumerei questo percorso di valorizzazione nelle tre parole chiave che troviamo nel titolo di questa prolusione: conoscere, cioè raccogliere i dati e studiarli, capire i limiti e la natura umana dei dati e dialogare, quindi condividere i dati e farli dialogare con le persone.
Conoscere
Il primo elemento del percorso è quindi la conoscenza, la raccolta. La medicina raccoglie dati, che noi intendiamo come osservazioni, fin dal II millennio AC, data in cui abbiamo la prima testimonianza di una raccolta di casi «chirurgici» usata per scopi didattici. A queste osservazioni che noi ingegneri chiamiamo «qualitative» sono state poi, grazie all’avanzamento tecnologico, affiancate le «misure», ossia osservazioni quantitative, come il precursore delle tecniche di risonanza magnetica di Angelo Mosso, i dispositivi di misura delle onde cardiache (elettrocardiogramma) o cerebrali (elettroncefalogramma) di Einthoven e Berger. Fino ad arrivare a quelli che noi ormai abbiamo imparato a chiamare «health big
data». Dati raccolti già in formato digitale, con tecnologie che permettono alta affidabilità, ripetibilità e facilità di generazione tale da far aumentare il volume di un ordine di grandezza
in una decade.
Non dobbiamo poi dimenticare però che siamo nel mondo della connettività, con un numero di utenti Internet raddoppiato nel giro di 10 anni. Questo ha avuto impatto anche sulla nostra
“raccolta” di dati. Come è rappresentato in questa figura, disegnata da IBM per il progetto Watson Health, se, considerando la “composizione” di una persona (sulla sinistra), i dati “clinici”, quindi riferiti allo stato di salute, e i dati “omici” (del patrimonio genetico) contano per un 40% e per il 60% contano i fattori ambientali, di esperienza, di vita quotidiana e sociali, se guardiamo i dati prodotti in questi tre ambiti (sulla destra), la proporzione diventa 1 a 1000. Ci troviamo dunque immersi in un mare di dati.
Capire
Ed ecco dunque che dobbiamo fare il passaggio dalla raccolta alla comprensione e fare i conti con la natura di questi dati che, in quanto «umani», hanno bisogno di essere capiti, così come vanno capite le persone.
Vorrei fare un esempio. In questo studio recentemente pubblicato, i ricercatori hanno utilizzato le immagini pubblicate sui profili pubblici di Instagram per valutare l’aderenza alle restrizioni imposte durante i primi mesi della pandemia a New York. In sostanza, volevano vedere se la numerosità di fotografie pubblicate si riuscisse ad avere qualche informazione sul comportamento dei cittadini newyorkesi a fronte delle restrizioni. Come si vede dal grafico, sono state considerate le immagini postate su Instagram relative ad alcuni luoghi di New York (Central Park, Brooklyn Bridge, Times Square) da fine febbraio ad aprile 2020 e l’andamento osservato è discendente. Questo esempio mette in luce diversi aspetti importanti nella fase del “capire”:
– Il primo punto è la facilità di ottenere grandi quantità di dati. Qui sono state usate più di 37000 immagini, una numerosità difficilmente raggiungibile in uno studio clinico controllato.
– Il secondo è l’opportunità di utilizzarle. È corretto utilizzare dati, anche se aggregati e di molte persone, per fare predizioni o per creare regole generali che siano valide per tutti? Siamo certi che la popolazione di queste 37000 immagini sia rappresentativa dell’intera città? È possibile che l’osservazione qui sia spostata su una minoranza che ha la cultura, i digital skill e anche i mezzi per accedere alla tecnologia. È eticamente corretto utilizzare i dati, benché pubblici, per uno scopo diverso da quello per cui sono stati generati?
– Il terzo è l’incertezza, la variabilità di questi dati, che derivano dall’eterogeneità delle persone che le hanno scattate. Ogni dato nasce da un certo istante vissuto da una certa persona.
Questi sono spunti di riflessione, per i quali le risposte si stanno man mano costruendo. Per far fronte a questa natura complessa e umana/personale dei dati, non si tratta solo di usare modelli matematici adeguati, che ormai abbiamo e padroneggiamo, ma di fare un ulteriore passo avanti, quello del dialogo e della condivisione.
Dialogare
È necessario ritornare alla centralità della persona, quasi come nei singoli casi descritti in quel papiro visto all’inizio, e includere le persone nella raccolta dei dati, a cercare di integrare più dati, a introdurre l’esperienza. Nell’ambito della ricerca clinica vengono chiamati «patient generated data», ossia dati generati dai pazienti, definizione che sembra in contraddizione con il fatto che tutti i dati vengono «generati» dalle persone, dai pazienti, ma che fa riferimento al fatto che sono dati raccolti dall’esperienza quotidiana non guidata.
Questo che propongo è un esempio tratto dalla mia esperienza personale, dato che mi occupo di dati nell’ambito delle malattie neurodegenerative e in particolare della malattia di Parkinson. In questo video, vediamo un paziente parkinsoniano che viene monitorato per un periodo di tempo abbastanza lungo, con tecnologie integrate che permettono di avere una visione ampia delle sue funzioni motorie e cerebrali. Questo però non basta, in quest’altro video vediamo il paziente che utilizza una app per dirci man mano come si sente, perché i dati, anche se molti e integrati, non colgono questa percezione personale.
È grazie a questo tipo di approccio che siamo riusciti a migliorare la terapia di stimolazione cerebrale profonda per i pazienti. Questa è una delle tante terapie scoperte per caso, sulla base dell’osservazione e della conoscenza, senza comprensione. Si tratta dell’erogazione di uno stimolo elettrico in strutture profonde del cervello, che permette sì di alleviare i sintomi ma è una terapia fissa che non considera lo stato della persona. Infatti, si vede bene che il paziente in questo video ha ancora sintomi importanti. Invece, l’analisi personale e non solo personalizzata dei dati, come mostrato nella diapositiva precedente ci ha permesso di sviluppare un sistema in grado di registrare i dati istante per istante dal cervello del paziente e di adattare l’intensità dello stimolo alla reale necessità. Ed ecco in questo video (a destra), la terapia somministrata in questo modo «adattativo». Anche io che sono un ingegnere mi sento di dire che sta meglio.
Quindi, questo dialogo con le persone ci permette di costruire dispositivi fatti per prendersi cura e non solo «curare». Un altro piccolo esempio: il tremore, soprattutto il tremore alla mano, è un sintomo molto invalidante e anche molto diffuso, che genera, oltre che disagio, anche imbarazzo e difficoltà nel compiere anche i gesti più semplici. È chiaro che trattare il sintomo, cioè eliminare il tremore, sia sicuramente il primo passo per migliorare. Tuttavia, la soluzione tecnologica non deve dimenticare il dialogo con la persona, che, indossando il bracciale mostrato nella diapositiva si sentirebbe in grande imbarazzo. Al contrario, pensare, insieme ai pazienti, un sistema che abbia un uguale effetto ma che non sia stigmatizzante porta a migliorare la sicurezza, anche nei rapporti sociali, che sono la dimensione più umana che dobbiamo preservare.
Non dobbiamo tuttavia dimenticare che un elemento fondamentale del “dialogare” e del “condividere” è la generosità delle persone, dei pazienti, che donano i propri dati affinché vengano utilizzati, senza necessariamente avere un ritorno diretto sulla propria cura, ma per il futuro, per aiutare altri che, come loro, si trovano ad affrontare una sfida. Quindi, i dati, oltre che avere una natura essenzialmente umana, sono anche donati.
Conclusioni
Per tornare alla conclusione del racconto di cui accennavo all’inizio, l’ultima scena immaginata da Asimov è quella che potremmo chiamare la fine del mondo. Tutti i dati possibili sono stati raccolti, ma non ancora capiti. Questo è anche il momento in cui il supercomputer e l’uomo si sono sostanzialmente uniti e rappresentano un’entità. È solo allora che la risposta alla domanda viene trovata. Concentrandosi sul significato letterale, e non su quello metafisico, del racconto, vediamo che la risposta viene trovata, dopo aver collezionato tutti i dati possibili, solo nel momento in cui il dato viene reso umano.
Noi, come educatori, abbiamo la responsabilità di insegnare ai nostri studenti (e non solo agli ingegneri o ai “data scientist”, ma tutti perché rappresentano le generazioni che avranno sempre più dati a disposizione e che saranno chiamati ad usarli in tutti gli ambiti del sapere e della conoscenza) una lezione che riassumerei con alcune parole:
• generosità, come quella dei pazienti che donano gratuitamente i loro dati, per il miglioramento del futuro, e non per «creare del valore» o un «ritorno di investimento»;
• condivisione, innanzitutto dei dati, perché è solo con l’integrazione che riusciamo ad avere visioni più ampie per tutti, ma anche condivisione dei risultati, perché è importante promuovere sempre più una cultura del dato che renda consapevoli le persone dell’importanza dei dati anche in un’ottica comune;
• infine responsabilità che è necessario avere nei confronti dell’utilizzo del dato. Non farsi ingannare dal dato, ma mantenere un atteggiamento critico e trasparente nella loro interpretazione, senza confondere universo e metaverso, con un occhio sempre rivolto alle persone, tenendo conto del diritto ad un equo accesso alla tecnologia.
In conclusione, quindi, dobbiamo insegnare che il dato è umano.
Intervento del Rappresentante del Personale tecnico-amministrativo Celeste Gasbarro
Signor Presidente della Repubblica,
Autorità presenti, Magnifico Rettore, Direttrice Generale, membri tutti della comunità accademica,
sono onorata ed emozionata di portare a Lei, Signor Presidente, e a questa platea il saluto da parte del personale Tecnico Amministrativo, bibliotecario e dei collaboratori esperti linguistici.
La comunità accademica ha tante anime: non è solo composta da docenti, studenti e personale tecnico amministrativo ma sono tanti i lavoratori e le lavoratrici, come i colleghi delle cooperative e dei servizi di vigilanza, che contribuiscono ogni giorno al divenire di questa istituzione, di questo meraviglioso progetto che è l’Università degli Studi di Trieste.
In questo intervento vorrei dare luce al valore delle persone, del lavoro e alla centralità del ruolo dei giovani e dei loro talenti.
Oggi scorrono immagini durissime di sofferenza e di guerra che rendono il mio compito ancora più difficile perché di fronte a questo scenario ogni parola sembra svuotata del suo più intimo significato.
Questo momento e il biennio drammatico appena trascorso possono e devono tradursi in nuove opportunità, in una ripartenza che deve mettere al centro delle proprie istanze il lavoro e il ruolo del pubblico impiego.
Che sia questa l’occasione per ribadire il valore e l’importanza strategica del nostro ruolo di lavoratori, di esseri umani in primis, al servizio dei cittadini e della collettività,
in particolare dei nostri giovani.
Ognuno di noi, nel suo piccolo, può contribuire al cambiamento. Non dobbiamo, né possiamo più permetterci di perdere la speranza.
Non perdere la speranza significa credere, operare quotidianamente per costruire e ricostruire, anche quando sembra non esserci più prospettiva.
Anche io, come molti, ho avuto paura di perdere la speranza, ritrovandomi intrappolata nel timore che porta con sé la condizione del precariato.
Ho iniziato a lavorare in questo Ateneo come dipendente di una cooperativa, cercando di vivere con entusiasmo e dedizione le mansioni cui ero chiamata. Questo impegno e questa serietà li ho ereditati da mio padre, ferroviere, grande lavoratore, cristallino per onestà ed entusiasmo.
Il grande insegnamento da trasmettere ad un figlio, credo, è che la cultura e l’etica del lavoro non sono solamente il mezzo attraverso il quale provvediamo alle nostre necessità: il lavoro è anche luogo di conoscenza, crescita, complessità adulta e matura anche nell’affrontare gli inevitabili conflitti.
Fin dal principio mi è stato chiaro quanto questi valori fossero importanti e quanto mi sentissi parte del nostro Ateneo; quei primi giorni sono diventati mesi e poi anni, precisamente dodici.
In quel momento, assieme ai valori trasmessi dalla mia famiglia, risuonavano a darmi forza le parole di una persona con la quale ho avuto l’onore di lavorare e che mi ha regalato il più alto degli insegnamenti. Con gentilezza, ma allo stesso tempo con chiara fermezza mi disse che, a prescindere dalle gerarchie e dalle mansioni, ogni lavoro è degno, è dignitoso.
Di più: ogni persona, ogni lavoratore ha la propria dignità, e mai dovrà essere permesso ad alcuno di calpestarla.
Abbiamo tutti il diritto di essere tutelati e rappresentati ma dobbiamo tenere a mente che non esistono diritti senza doveri. È questa l’essenza del cittadino democratico.
Questi valori, custoditi come nucleo pulsante della mia coscienza, mi hanno portata a reagire perché ho capito che il primo dovere verso noi stessi e gli altri è quello di non rimanere passivi, aspettando che qualcosa cambi, come per miracolo.
Sono questi i momenti in cui bisogna prendere in mano la propria vita con coraggio e consapevolezza. Per me e per i molti colleghi che hanno preso servizio negli ultimi tempi, ciò ha significato raggiungere l’importante traguardo di superare un concorso che ci ha permesso di diventare parte del personale Tecnico Amministrativo.
La mia condizione di neoassunta non ha cambiato affatto la mia essenza né il rapporto con le persone con cui lavoro, dimostrando che siamo tutti capaci di apprezzare e, soprattutto, riconoscere il valore di una persona e di un lavoratore.
Quello che è cambiato è il gruppo con il quale lavoro: mi occupo di orientamento e quotidianamente lavoriamo con il motore primo del nostro Ateneo e del nostro Paese: i giovani.
Mi piacerebbe potervi trasmettere le sensazioni e l’orgoglio che provo quando incontro i futuri studenti, l’emozione di poterli aiutare a progettare, esplorare ed esprimere al meglio i propri talenti, lavorando con e per loro che rappresentano il futuro.
A loro dobbiamo trasmettere non solo conoscenze, strumenti, ma soprattutto speranza e modelli di riferimento: i giovani, come dice Roberto Benigni, “hanno bisogno di esempi di onestà”.
Ecco perché, con il senso del dovere e di appartenenza che ci hanno tenuti uniti, dobbiamo continuare ad operare al miglioramento, a crederci.
Io ci credo,
Grazie a tutti
Intervento del Presidente del Consiglio degli Studenti Riccardo Formisano
Signor Presidente della Repubblica,
Autorità, Magnifico Rettore, Direttrice Generale, docenti, personale tecnicoamministrativo,
care colleghe studentesse e cari colleghi studenti,
sono sinceramente onorato di portarvi il saluto e la voce della comunità studentesca dell’Università di Trieste.
Il mio primo pensiero è un sentito ringraziamento a tutte e tutti coloro che lavorano ogni giorno per il futuro del nostro Ateneo e per il futuro delle migliaia di coscienze che si formano tra queste mura.
Gli ultimi anni hanno rappresentato un importante momento di crescita per la nostra comunità universitaria, che reagendo con positività e impegno alle difficoltà si è arricchita di risultati, persone e prospettive nuovi, non solo nell’ambito della formazione e della ricerca, ma anche nel proprio impegno per una società più consapevole e sostenibile.
Grazie ai sacrifici dovuti alla pandemia, abbiamo anche compreso l’importanza dei tre concetti di cui parlerà a breve la prof.ssa Marceglia: conoscere, capire, dialogare.
In effetti, in quest’ultimo anno il dialogo non è mancato. La comunità studentesca ha ritrovato motivazione ed è stata promotrice di numerose iniziative, rivolte non solo alla quotidianità di studentesse e studenti, ma anche e soprattutto a disegnare un’Università e una Società delle quali poter fare fieramente parte oggi e domani.
Certo, diverse sono state le proposte disattese e i dialoghi inconcludenti, ma l’ascolto e il confronto non sono mancati.
Tuttavia, non posso non sottolineare come questa forza traente abbia spesso anticipato la lentezza della politica e, talvolta, del sistema universitario. Penso al prolungamento di questa sessione straordinaria di laurea: l’avevamo chiesto già lo scorso settembre, percependo le ripercussioni psicologiche dovute alla pandemia, che qualcuno ancora nega: il Parlamento è arrivato cinque mesi dopo.
Penso alla necessità manifestata dalla comunità studentesca di attivare percorsi di assistenza psicologica e orientamento che rispondano realmente alle esigenze di una generazione segnata.
Penso alla voglia di inclusività che abbiamo espresso facendoci promotori della prima adesione del nostro Ateneo al Pride del Friuli Venezia Giulia.
Penso al nostro contributo alla sostenibilità e all’azione collettiva dei giovani di tutto il mondo che hanno dato vita al movimento Fridays For Future.
Penso alla necessità di preservare l’Europa di pace che abbiamo ereditato. Accomunate sotto la bandiera europea, le rappresentanze studentesche dei 7 atenei che formano la nostra alleanza Transform4Europe si sono mosse in favore di colleghi e colleghe come noi che, da un giorno all’altro, si sono trovati costretti a prendere parte all’orrore della guerra.
Questa energia che ferve in noi giovani si traduce in una riflessione e in due domande: perché le comunità studentesche restano relegate in organi consultivi al cospetto dello spirito di ascolto di chi decide? Perché non far sì che incidano maggiormente nei processi decisionali, tanto a livello nazionale quanto a livello locale?
In un mondo sempre più minacciato dall’a-scientificità, dalla prepotenza e dalla paura del diverso, il motore studentesco può e deve rinnovare l’energia alla comunità accademica perché questa possa riappropriarsi del suo ruolo di guida delle nostre comunità.
La comunità universitaria ha il dovere di riflettere e guidare il cambiamento su diversi temi:
l’equità di genere e un vero rispetto dell’unicità delle singole e dei singoli. Dovremmo adottare e promuovere nelle nostre università dei codici comunicativi e comportamentali adeguati, anche implementando le carriere alias a livello nazionale.
Pari opportunità per tutte e tutti: questo implica sostituire il soffitto di cristallo con un ascensore sociale funzionante e adottare serie politiche sia sostegno dell’indipendenza degli studenti, sia a favore delle studentesse e degli studenti genitori.
Ancora, insieme potremo favorire la riscoperta della conoscenza umanistica quale complemento imprescindibile al sapere tecnico-scientifico, affinché si possa dare risposta alla complessità della nostra epoca, magari proprio iniziando a riflettere sul ruolo dell’alta formazione.
Potremmo ambire a ridefinire un sistema che miri alla crescita della persona in quanto tale e intervenire sul futuro di precarietà che attende coloro i quali desiderano mettersi al servizio della conoscenza.
Una precarietà causata, tra gli altri elementi, da borse di dottorato centellinate e povere di diritti, seguite da carriere accademiche altrettanto estenuanti e incerte.
La stessa precarietà che al momento ci attende, insieme a diritti lesi e morti bianche, nel mondo del lavoro verso il quale il sistema formativo ci spinge ossessivamente senza riuscire appieno a prepararci.
Come scriveva Orazio: sapere aude! Studenti, docenti, personale e autorità: osiamo, insieme, per raggiungere quei modelli di società e università nei quali riponiamo le nostre ambizioni.
Grazie.