Il 3 novembre, nell’anniversario della traslazione delle reliquie nell’abbazia di Adage, si celebra la festa di Sant’Uberto di Tongeren-Maastricht, primo vescovo di Liegi
Nei secoli, la devozione al Santo della gran parte della nobiltà europea, a lui accomunata da passione e censo, ha permesso di consolidarne il culto e l’iconografia arrivando a legarlo indissolubilmente alla tradizione e alla cultura venatoria fino ai giorni nostri.
In Italia il suo culto non è così comune come in molti altri paesi europei, tuttavia nelle parti più a nord dello stivale spesso vengono organizzate delle messe in suo onore: messe del tutto suggestive se vogliamo, poiché accompagnate dal potente suono di corni da caccia di gruppi di suonatori in abiti folkloristici.
Così questa pratica viene regolarmente praticata anche in Friuli Venezia Giulia e nella diocesi di Trieste, dove le comunità venatorie si ritrovano per festeggiare il loro patrono.
Il Partito Animalista Italiano – PAI – del FVG insorge contro la celebrazione della festa di Sant’Uberto
In questi eventi, all’interno della Chiesa non ci sono stati solo i fedeli, questi fedeli cacciatori pronti a ricevere la benedizione per un propiziatorio inizio stagione di caccia. No, in genere vengono benedette anche armi e i loro segugi portando in chiesa anche trofei di animali. All’interno di una chiesa, consacrata, benedetta… quella che dovrebbe essere la casa del Signore, una casa di pace e di gioia, diventa un luogo di morte, egoismo ed egocentrismo.
La morte, per la quale non dovrebbe servire dare spiegazioni a riguardo, è parte integrante della vita. Ma andare a cercarla apposta, per farne sfoggio e vanto, è al limite del sadismo.
La caccia, in passato serviva per il sostentamento delle famiglie e del paese ed era estremamente rispettosa, perché si era certi che la vita delle persone era legata alla vita della fauna e della flora che le circondavano. La caccia per sostentamento era quindi legata a regole intrinseche di rispetto per gli animali che erano cacciati, per quelli che non lo erano e per tutto il resto della natura.
Ma ora non siamo più a quei tempi. Abbiamo cibo a sufficienza, senza bisogno di porre al termine ulteriori vite. Quindi uccidere è una totale mancanza di rispetto nei confronti degli esseri viventi e, visto che si parla di chiesa, delle creature di Dio.
Non si parla solo di una mancanza grave, ma anche di inutilità dal punto di vista del sostentamento e può addirittura ledere gli equilibri degli ecosistemi in cui viene
praticata (della caccia di selezione ne parleremo in un altro articolo, se no si và fuori argomento).
La caccia è diventata motivo di vanto e visibilità per chi la pratica, non perché si porti il cibo a casa, ma perché “IO, essere umano, sono stato bravo, forte ed intelligente ad uccidere”. Quindi non si guarda più all’equilibrio, al togliere il giusto, al togliere perché serve per vivere. Si guarda al togliere perché serve a ME STESSO, serve a farmi sentire qualcuno.
Per questo motivo parlo di egoismo ed Egocentrismo. Due parole che iniziano con lo stesso suffisso, “Ego”. Queste tre lettere si riferiscono a sé – sé stesso, e la società moderna ama farcele conoscere come positive e addirittura obbligatorie se vogliamo essere persone vincenti e quindi migliori.
Ma questa modalità di pensiero dovrebbe sgretolarsi quando si guarda obiettivamente la realtà. La realtà si appoggia al concetto di Eco, derivante dal greco Oikos, che significa Casa. Il mondo degli esseri viventi ha sempre rispettato il concetto di Eco, una “casa” condivisa con milioni di specie differenti, tutto nel rispetto di tutti. Questo perché dal momento in cui anche solo una di queste specie dovesse scomparire, gli equilibri cambierebbero.
Per questo non dovrebbe essere festeggiato e soprattutto appoggiato dalla Chiesa. Una chiesa che dovrebbe dare speranza, valori e luce, si ritrova a sostenere una pratica piena di Ego.
Ego che dovrebbe anche essere visto in maniera negativa dalla Chiesa stessa, perché è il contrario dell’amore per il prossimo su cui si dovrebbero fondare i loro insegnamenti.
Arrivo così alla fine di questo excursus, per dichiarare che il Partito Animalista FVG intende manifestare la propria contrarietà in merito a questo tipo di evento e spera che questa lettera sortisca un effetto ponderante soprattutto negli esponenti della Chiesa e dei Comuni sostenendo che l’esercizio venatorio è sicuramente antitetico rispetto all’auspicata “Cura della Casa comune”, ovvero la natura promossa da Papa Francesco nell’Enciclica “Laudato Sì”.
Sappiamo bene che nel nostro territorio, in special modo nelle zone friulane la tradizione venatoria è consolidata, ma le tradizioni, specie quelle cruente in pratica o in teoria, sono fatte anche per essere cambiate o cessate.
Sant’Uberto si convertì dalla sua vita dissoluta e abbandono la caccia dopo aver avuto la visione durante una battuta di caccia di un crocifisso in mezzo ai palchi di un cervo.
Il nostro augurio, dunque, è che sempre più cacciatori si pentano e depongano il fucile, seguendo il fulgido esempio del Santo.
Arianna Marocchi
Coordinamento regionale PAI FVG
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