Dopo oltre 20 anni è stato riportato “alla luce” un monumento di Trieste: si tratta dell’ACQUEDOTTO TERESIANO.
Questo tesoro che da molti era considerato perso per sempre dopo l’allagamento avvenuto negli anni 2000, per la Società Adriatica di Speleologia è stato una sfida, che l’ha fatto riemergere ancora più grande grazie allo svuotamento e all’unione delle gallerie di San Giovanni.
Dopo tre anni di lavoro e la rimozione di 20 tonnellate di materiale attraverso uno stretto cunicolo lungo 100 metri che ostruivano il deflusso normale delle acque, l’opera voluta dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria è stata restituita alla città e i lavori procedono per la messa in sicurezza del luogo che presto ospiterà percorsi formativi per speleologi e per appassionati, prima di aprire al pubblico a lavori ultimati.
Oggi, rispetto a 20 anni fa, collegando due tratti e disallagandone uno, è stato possibile percorrere 600 metri di gallerie, parte di quel sistema sotterraneo che nei primi anni del ‘900 raggiunse i 1200 metri di lunghezza e alimenta le tre fontane pubbliche di Trieste di Piazza Grande, Borsa e Ponterosso.
Il primo nucleo centrale dell’acquedotto è in via delle Cave, dove l’acqua viene raccolta nel famoso Capofonte e riceve le acque da 250 metri di galleria scavate nei pressi della chiesa di San Giovanni e Pelagio al quale si aggiunse verso la fine dell’800 un livello più basso di gallerie sotto l’attuale piazzale Gioberti.
L’ultimo tratto del progetto di espansione dell’acquedotto è in direzione cava Faccanoni, attraverso un sottosuolo calcareo; con questo più recente prolungamento l’intento era quello di entrare nel livello della falda carsica, o addirittura arrivare nella grotta di Trebiciano, ma gli scarsi risultati di incrementare l’acqua nei calcari e la sottostima dell’altezza della falda carsica rispetto alla quota di pescaggio delle gallerie del Teresiano ne decretarono l’abbandono.
Photo credits: Acquedotto Teresiano © Upix