Come diceva qualcuno “è uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo”. Ebbene, anche in questo caso c’è chi lo fa e guadagnandoci parecchio: sono i passeur, o “accompagnatori” di immigrati oltre le frontiere. Nel Carso triestino ci sono innumerevoli passaggi tra i boschi fitti che permettono il transito dalla vicina Slovenia, ma per poter procedere con sicurezza ci vuole la perfetta conoscenza del territorio. Poi ci sono quelli più organizzati, che usano camioncini e furgoni per trasportare il carico umano. Qui il rischio di venir beccati è ovviamente maggiore, quindi maggiore è la tariffa da chiedere all’immigrato: dai cento ai duecento euro. Senza garanzia, si paga anticipatamente zitto e mosca.
Il passeur rischia una pena fino a 5 anni di carcere, l’immigrato mette in pericolo la sua vita. È inutile dire che i soldi spariscono in fretta, e il contrabbandiere di vite umane una volta libero potrà riappropriarsene agevolmente. Questo traffico è composto da una catena molto ben organizzata e multietnica: il basista, il traghettatore, il cassiere. Dei vertici si sa nulla o quasi, ma di certo fanno parte della criminalità di alto livello, quasi sempre gestita da magrebini ma non si esclude la complicità delle mafie italiane, anzi…
I mezzi per trasportare i clandestini da una parte all’altra della frontiera sono vecchi furgoni, auto con centinaia di migliaia di chilometri nel motore ormai destinate alla rottamazione. Sono però quelle che si notano di più e che i poliziotti fermano più spesso, ma per uno che viene bloccato, altri 5 passano indisturbati.
Le forze dell’ordine pattugliano le strade con attenzione, tengono in considerazione qualsiasi elemento valido per bloccare la tratta, ma è solo una goccia nell’oceano. I disperati creano il business, e il business crea i disperati. Per ora, almeno finché il panorama internazionale non cambia, non se ne esce.